Volontariato europeo ai tempi del #Covid-19: la storia di Sara

Come si combinano lo scoppio di un’imprevedibile pandemia e un’esperienza di volontariato europeo? L’ho chiesto a Sara, volontaria bresciana di Associazione JOINT, impegnata in un periodo di volontariato a Leganès, in Spagna.

Bentornat* a “Volontariato europeo ai tempi del #Covid-19”, rubrica che dà voce alle vicende dei volontari italiani di Associazione JOINT, impegnati in progetti di volontariato europeo all’estero, allo scoppio dell’emergenza sanitaria coronavirus.

Siamo giunti al terzo episodio della serie e sono felice di trovarti qui, pront* per conoscere cosa ci riserva il racconto di oggi; ma, prima, facciamo un piccolo passo indietro e vediamo a chi sono dedicati i precedenti articoli di questa rubrica.

Nella prima puntata la storia di Roberta, volontaria bergamasca, impegnata in un’esperienza di volontariato europeo in un asilo nel bosco a Jena, in Germania; mentre, nella seconda, la storia di Giulio, volontario pordenonese, coinvolto in un progetto di volontariato europeo come addetto alla comunicazione per Rikolto, a Leuven, in Belgio.

Bene…credo sia arrivato il momento di scoprire l’ospite di oggi.

Si chiama Sara, ha 28 anni, è laureata in Lingue Orientali e viene da Sarezzo, un paesino vicino a Brescia.

Grazie ad Associazione JOINT, Sara partecipa ad un progetto di volontariato europeo a Leganès, in Spagna, presso Dejòvenes, organizzazione che opera come ufficio Informagiovani e di mobilità internazionale del comune di Leganès; insieme ad altre due volontarie europee, Sara organizza attività e corsi di lingua aperti sia ai giovani che già frequentano stabilmente il centro giovanile messo a disposizione dall’organizzazione, sia a tutti i giovani della comunità locale.

Sara conosce presto il mondo della mobilità giovanile grazie all’assidua frequentazione dell’Informagiovani del comune di Sarezzo, paese di origine della ragazza; già nel 2014 prova a candidarsi per alcuni progetti di volontariato europeo, ma preferisce poi svolgere il Servizio Civile presso la Prefettura di Brescia allo Sportello Immigrazione. La collaborazione frutta a Sara un contratto di 4 anni durante i quali ricopre i ruoli di mediatrice linguistico-culturale, interprete ed assistente amministrativo, sia per la Prefettura che per la Questura di Brescia. Allo scadere del contratto, a maggio 2019, Sara decide di rispolverare il suo desiderio di partecipare ad un progetto di volontariato all’estero, si candida, viene selezionata e, a dicembre 2019, parte per la Spagna.

Come è stato l’impatto iniziale con la nuova realtà?

“Io arrivo all’aeroporto di Madrid e la mia tutor mi comunica che c’è stato un disguido; la casa che sarebbe stata destinata a me non è più disponibile e sarò ospitata temporaneamente da una collega. Il progetto è partito con due mesi di ritardo per questioni burocratiche e, quindi, la proprietaria di casa ha preferito affittare la casa piuttosto che attendere l’inizio del mio progetto. Sono una persona abituata ai colpi di scena, quindi non mi sono persa d’animo. Mi sono messa a cercare una casa che andasse bene insieme alla mia collega con la quale condividevo la casa e, dopo numerosi tentativi e qualche crisi esistenziale, riusciamo a trovare la casa in cui vivo ora; così a febbraio mi sono trasferita. Per quanto riguarda il lavoro, invece, il progetto mi ha visto fin da subito coinvolta in un piccolo ruolo di back office finalizzato alla pubblicazione di opportunità giovanili su Eurodesk Spagna e poi nell’ideazione di un corso di lingua italiana e uno di lingua inglese. Io, in generale, mi immaginavo una maggiore partecipazione dei giovani locali alle attività del centro, data la lunga esperienza che Dejòvenes ha coi volontari europei, ma in realtà così non è stato.”

Come ti arrivano le notizie relative all’emergenza coronavirus in Italia?

Io ricordo che a fine febbraio, una mattina, nel tragitto casa-lavoro, chiamo mia mamma e lei inizia a ripetermi <<Sara, qui è una tragedia>> e si allarma all’idea che io stia ancora andando a lavoro. Lo ammetto, ho fatto affidamento sull’ipocondria di mia mamma e ho dato poco credito alle sue parole. In Spagna non c’era alcuna avvisaglia, tutto sembrava normale. Dopo qualche giorno altre mie amiche iniziano a delinearmi una situazione tutt’altro che rosea a Brescia e io inizio ad impensierirmi. Vivevo scissa; in Italia sembrava ci fosse l’apocalisse, mentre in Spagna le giornate trascorrevano tranquille. Pensa, tu sei al bar a goderti la tua colazione e tua madre ti continua a parlare di virus, contagi e morti…sembra impossibile! Lo scarto temporale tra gli avvenimenti in Italia e la situazione in Spagna mi ha destabilizzato.”

E in Spagna? Come si è evoluta la situazione?

“In Spagna è successo tutto molto rapidamente. Un giorno la tutor convoca me e le altre volontarie e ci comunica che il governo spagnolo ha disposto la sospensione di tutte le attività legate ai centri educativi fino alla fine di marzo e la chiusura di scuole ed università. A questa notizia noi volontarie reagiamo piuttosto bene; pensiamo che un paio di settimane di fermo ci permetteranno di preparare meglio le attività per il centro. Io mi sarei concentrata sul corso di scrittura creativa che desideravo tanto presentare e poi volevo proporre a Leganès l’attività di poesia sui muri del movimento Attacco Poetico, per la quale avevo già ottenuto l’autorizzazione. Inizio, però, a realizzare sempre più che la situazione è drammatica quando ricevo la notifica che il mio volo prenotato per tornare in Italia alla fine di marzo per prendere parte ad un progetto organizzato dal mio comune è stato cancellato. Qualche giorno dopo, la tutor ci convoca di nuovo e in piazza, davanti all’edificio del comune, ci comunica che la Commissione Europea ha previsto per i progetti in corso in tutta Europa o il prolungamento della data di scadenza oppure l’annullamento; per ragioni organizzative il nostro progetto è stato annullato. La tutor esorta le altre due volontarie ad acquistare prontamente il biglietto per fare rientro a casa – e non correre il rischio che cancellino i voli come era già successo a me a seguito della chiusura delle frontiere – ed entrambe partono immediatamente. Per me non c’è possibilità di rientrare. In 24 ore mi ritrovo bloccata in Spagna, con il progetto annullato e senza le altre volontarie con cui avevo condiviso l’esperienza.

E come familiarizzi con l’idea di essere bloccata in Spagna?

“Per fortuna ricevevo il rimborso della Commissione Europea su base trimestrale e quindi ho avuto la garanzia di disporre di un minimo di sicurezza economica fino a fine maggio. Poi devo dire che ho avuto il sostegno da parte della mia famiglia che, con estrema lucidità, ha sempre preferito che rimanessi in Spagna, dato che la situazione non era ancora grave come in Italia. Inoltre, la mia coinquilina, con cui prima condividevo solo qualche chiacchiera la sera, si è rivelata una compagna di “sciagura” fantastica. Abbiamo condiviso questo momento delicato insieme, facendoci forza. All’inizio non è stato facile per me metabolizzare tutta questa situazione. Ricordo che i primi giorni in cui cercavo di fare i conti mentalmente con questa vicenda era come se fossi entrata in modalità sopravvivenza. Io, che di solito sono una persona molto energica ed attiva, mi trovavo in uno stato di letargia che raramente mi era appartenuto in passato. Ma ad un certo punto ho realizzato che questa esperienza mi poteva restituire un po’ di quel tempo per me che raramente avevo avuto a disposizione in tempi di “normalità”. Piano piano ho cominciato a darmi una nuova routine. Ma è grazie alla mia cara amica e collega dell’Informagiovani di Sarezzo Gloria Lombardo che la mia quarantena ha riservato grandi sorprese.”

Di che sorprese parli?

“Gloria un giorno mi chiama e mi propone di organizzare insieme una versione online di un’attività che lei era solita organizzare a Sarezzo, la cosiddetta “English Breakfast”, ovvero una serie di incontri per allenare le abilità comunicative in lingua inglese, ma utili anche per socializzare. Gloria mi presenta la possibilità di creare una replica dell’evento, ma in lingua spagnola. Io accetto con molto entusiasmo; era proprio quello di cui avevo bisogno in quel momento. In un paio d’ore otteniamo tutte le autorizzazioni necessarie. Gloria coinvolge anche la mia coinquilina e le chiede di darmi supporto nella gestione dell’attività dato che è madrelingua spagnola e anche lei accetta. L’idea prende forma e così inauguriamo “La merienda española”, corso di spagnolo aperto a tutti che riceve numerose adesioni, anche da persone che mai mi sarei immaginata, tra cui una mia ex professoressa di 76 anni. Ogni martedì e giovedì dalle 15 alle 16 il gruppo si incontra su Skype e discute di vari temi in un’atmosfera informale, ma di apprendimento. È stata un’esperienza meravigliosa ed è stato bellissimo constatare il bisogno che le persone avevano di parlare e comunicare durante questo periodo delicato. In una cornice così fatalista come quella dell’emergenza coronavirus, le persone avevano bisogno di un momento di leggerezza e di speranza. Il corso è diventato a tutti gli effetti una chiacchierata tra amici. Questo corso mi ha dato davvero tanto!”

Cosa ti ha insegnato tutta questa esperienza?

“In questo periodo ho davvero compreso il significato della frase <<se vuoi, puoi>>; la mia amica Gloria mi ha dimostrato che anche in periodi complicati è possibile trovare la chiave di lettura giusta che ti cambia la prospettiva del problema e ti fa svoltare. Non smetterò mai di ringraziarla. Le mie parole chiave per tutta questa esperienza sono resilienza e forza di volontà. Ho imparato quanto sia importante adattarsi alle situazioni che la vita ci pone davanti col sorriso e ho capito che il nostro operato può farci raggiungere obiettivi insperati. Il corso “La merienda española” è nato da un’idea semplice, ma che ha saputo rispondere alle sopite esigenze di persone che desideravano una boccata d’ossigeno dalla gravosa situazione legata alla diffusione del coronavirus in Italia e che volevano imparare un po’ di spagnolo. Ho potuto poi comprendere quanto l’operato degli Informagiovani locali sia di rilievo e, anzi, credo che una presenza più capillare di questi enti potrebbe far conoscere ancora di più tutte le opportunità di mobilità e non a disposizione dei giovani, che oggi rimangono sconosciute ai più.”

Quando tornerai in Italia? Come te l’aspetti?

“Sono riuscita a trovare un aereo per fine maggio e dovrei avere la garanzia di partire. Non nego che sono un po’ preoccupata all’idea di tornare; non tanto per il virus, quanto più per il dovermi riadattare alla vecchia realtà alla luce della pandemia attuale. Sono dispiaciuta di non aver potuto concludere la mia esperienza di 9 mesi a Leganès, ma spero che la Commissione Europea valuti la possibilità di dare un’altra opportunità a tutti i giovani che si sono visti cancellare il progetto a causa del coronavirus.”

La chiacchierata con Sara volge al termine.

Ringrazio Sara per il coinvolgente scambio di esperienze. Sono rimasto molto colpito dal suo entusiasmo e dalla sua contagiosa sete di vita, che le hanno permesso di superare un momento insidioso.

Il racconto di Sara è prima di tutto un inno all’amicizia vera, quella che fa bene all’anima e che è in grado di aggiungere bellezza alle nostre esistenze anche nei momenti in cui fatichiamo a vedere la luce; tutti avremmo bisogno di un’amica come Gloria, capace di darci i giusti stimoli quando la nostra vitalità è un po’ ammaccata. La storia, poi, ci incoraggia ad andare oltre al pessimismo con cui guardiamo spesso alle sfide che la vita ci pone davanti e ci invita a continuare a meravigliarci per tutto ciò che possiamo imparare su noi stessi da quelle situazioni che sembrano volerci far sprofondare. 

Grazie alla storia di Sara e a quelle degli altri ragazzi che hanno deciso di condividere con me le loro esperienze ho avuto modo di approfondire molto l’impatto della recente pandemia sulle sorti dei progetti di volontariato europeo, ma ho anche potuto maturare interessanti riflessioni personali. 

Le storie non sono solo frammenti di vita raccontati dai personaggi; le storie fanno risuonare in ognuno di noi qualcosa mentre le ascoltiamo; qualcosa che è anche nostro; qualcosa che ci rassicura; qualcosa che magari ci consente di mettere a tacere i dubbi che ci assillano; qualcosa che ignoravamo di noi, ma che è sempre stato lì; qualcosa che ci salva.

Ogni storia è un arricchimento, per chi la racconta e per chi l’ascolta.

E a te, cosa risuona della storia di Sara?

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