Il coronavirus non ha sollevato solo una questione medico-sanitaria, ma ha anche acuito le discriminazioni nei confronti di determinate categorie di persone…cosa possiamo imparare da tale situazione?
Tutto era pronto per quel viaggio che aspettavo da tanto. Dopo mesi di trepidante attesa, finalmente, avrei visto coi miei occhi quei paesaggi mozzafiato e quei castelli fiabeschi, che avevo potuto ammirare solo sulla mia fedele guida Lonely Planet; avrei assaporato l’atmosfera magica che solo gli scenari di montagna sanno regalarti e avrei ricominciato a respirare a pieni polmoni, lontano dalla città e dalle sue logiche inquinanti.
Mi trovavo in Romania ad un corso di formazione e l’indomani sarei partito con un’amica storica alla scoperta dell’affascinante terra di Dracula, la Transilvania e il mio entusiasmo era difficile da contenere, come potete immaginare.
Tutto era perfetto, l’itinerario, la compagnia, gli ostelli…tutto…e se non fosse per il fatto che il viaggio non è mai avvenuto, ora vi starei raccontando degli aneddoti sui vampiri o di come la Transilvania sia da inserire tra le migliori mete turistiche 2020.
Cosa è andato storto? Insomma, con un impietoso messaggio mattutino, che è suonato come un pugno nello stomaco dopo la peperonata di nonna la domenica, la mia amica mi fa capire che non si sente al sicuro a partire con me, data la mia provenienza dal Nord Italia (e ai tempi del coronavirus l’essere polentone è stato più volte paragonato all’essere un untore manzoniano).
A nulla sono servite le mie rassicurazioni circa le condizioni di salute mie, dei miei familiari e dei miei amici…
Per la prima volta in vita mia ho fatto i conti e ho sentito sulla mia pelle il peso di una parola un po’ scomoda che si chiama discriminazione e la sensazione che ho provato è stata davvero spiacevole. Mi sono sentito impotente. Ero incredulo. Come era possibile che la mia amica non volesse vedermi per un motivo come questo? Provavo rabbia e un senso di grande ingiustizia mi pervadeva.
Siamo abituati a sentire che il figlio della parrucchiera di origini senegalesi è discriminato perché di colore, che gli omosessuali hanno vita dura a causa del loro orientamento sessuale, oppure che i richiedenti asilo non riescono ad inserirsi nella società, ma fatichiamo ad empatizzare a livello profondo con quello che queste persone provano. Forse perché siamo sempre stati abituati ad essere “quelli al posto giusto, al momento giusto”, quelli che “a me non succede”, quelli che preferiscono credere che un problema non esista solo perché non lo hanno sotto il naso o non lo vedono direttamente. Inoltre, le associazioni che il nostro cervello fa in automatico possono rivelarsi molto pericolose se riferite agli esseri umani: è celebre il caso di persone di nazionalità cinese malmenate di recente perché ritenute responsabili del contagio del virus in Europa.
Essere discriminati ci fa comprendere quanto dolore la discriminazione porti con sè e quanto sia vano giustificarsi cercando di far cambiare idea a chi ci addita sulla base di un pre-giudizio; il costume comune è quello di indicare gli altri e categorizzare tutti sulla base di idee e giudizi preconfezionati, ma ora raccogliamo i frutti di quelle famose tre dita che quando indichiamo una persona, in realtá, puntano verso di noi. La ruota gira alla fine, no?
Il coronavirus ci sta mettendo in ginocchio perché ci sta costringendo a guardarci dentro e ci sta mettendo di fronte le nostre più grandi paure. Solo elaborando, a livello profondo, i sentimenti fastidiosi che il virus porta con sé potremo beneficiare in qualche modo della sua venuta.
Sono grato alla mia amica che, pur procurandomi del dolore, ha fatto crescere dentro di me una nuova consapevolezza.
E voi, vi siete mai sentiti discriminati?