testimonianza

La testimonianza di un volontario ICYE: “L’esperienza che ti cambia la vita. Per sempre.”

Cosa significa vivere un’esperienza di volontariato internazionale? Quali sono le sensazioni che si percepiscono durante questa avventura? Grazie alla rete di volontariato ICYE e alle testimonianze dei suoi volontari è possibile conoscere tutte quelle emozioni, impressioni e percezioni che si provano.

testimonianza

ICYE (acronimo di International Cultural Youth Exchange) è un network di volontariato con più di 70 anni di esperienza e che si estende su circa 40 Paesi in tutto il mondo, una federazione di associazioni che operano nel no-profit e che offrono opportunità di mobilità giovanile, apprendimento interculturale non formale e volontariato internazionale.

Gli obiettivi comuni riguardano l’abbattere i pregiudizi che ostacolano la comprensione inter-culturale e sviluppare sentimenti di solidarietà, pace, tolleranza e cooperazione. Avendo questa ambiziosa missione, e credendo profondamente nel principio di eguaglianza tra nazioni, culture e generi, ICYE organizza scambi di medio e lungo periodo che combinano il lavoro volontario e l’immersione nel contesto socio-culturale di accoglienza.

ICYE è “L’esperienza che ti cambia la vita. Per sempre.”

La testimonianza di Valentino

Vuoi sapere cosa significa vivere un volontariato ICYE? Valentino Ferrari è un giovane che ha deciso di intraprendere questa nuova avventura in Uganda.

Qui di seguito la sua testimonianza:

“Tornare in Africa, dopo 12 anni, a soli 9 mesi dal compimento della maggior età, è certamente una prova della vita. E devo ammettere che, quando sono atterrato a Entebbe, Uganda, tutto spossato dal lungo viaggio, e dalla breve dormita di un’ora, e quando poi sono stato portato nella casa della famiglia che mi ha ospitato per la prima notte, neanche credevo di essere lì per davvero. Vedevo tutto così diverso, così distante, quasi come fosse irraggiungibile, che non sembrava reale.

I giorni successivi, a partire dal secondo, quando sono stato portato al Centro, sede del progetto, sono stati quelli più difficili. Da un lato, ho realizzato effettivamente che quello che vedevo sarebbe stato parte di una realtà che avrei dovuto vivere per due mesi. Dall’altro, abituarmi a una cultura, uno stile di vita, un contesto, così diversi, è stato, all’inizio, davvero complesso.

Quando sono arrivato al centro, ho visto gli sguardi dubbiosi di quei bambini. Per loro, come per i passanti quando passeggio per strada, io sono il mzungu, l’uomo bianco, quello nuovo, appena arrivato. Ho realizzato in quel momento che pochi, pochissimi di loro, parlavano inglese. Ci è voluta una palla per sciogliere il ghiaccio. Uno di loro me l’ha passata, e io l’avevo ripassata a lui, poi a un altro, poi a un’altra, e così via. Da quel momento, ho iniziato subito a sentirmi a mio agio con loro, specialmente la sera, quando sono andato a salutarli, che mi hanno assaltato tutti per abbracciarmi, sciogliendo il mio cuore.

I giorni seguenti ho cercato, il più possibile, di conoscerli, esplorarli, esplorare le loro storie, le loro personalità, il loro carattere.
E sono tutti diversi: chi ha bisogno di tanto affetto, chi è pieno di energia, chi parla tanto, chi parla solo lo stretto necessario.
Esplorare le loro storie è stato un qualcosa che mi ha toccato davvero nel profondo: tra chi era destinato a essere sacrificato, chi è stato abbandonato in un cassonetto della spazzatura, in una discarica vicino alla capitale, chi è stato lasciato sotto a un camion, a un pelo dall’essere investito, chi ancora riporta segni di ferite, con la plastica bruciata, causate dalla violenza della matrigna. Non è facile capire quale sia la peggiore storia. E trovo incredibile come, nonostante il difficile passato, che noi neanche possiamo immaginare, li vedi ridere, sorridere, divertirsi, e questo scalda il cuore.

Con l’arrivo degli altri due volontari dalla Germania, ho iniziato a sentirmi molto meno solo, specialmente quando non ero con i bambini, e ho iniziato davvero a sentirmi come fossi a casa. Certo, mi sono dovuto abituare alle secchiate d’acqua fredda per far la doccia, al meteo totalmente imprevedibile, allo sguardo curioso delle persone quando cammino per strada, tra chi mi saluta, chi mi osserva con sospetto, chi mi chiama “mzungu”, per non parlare di tutte le battaglie contro le zanzare che si infilano nella rete.
È certamente un’avventura, ma un’avventura che merita di essere fatta.
Perché bisogna fare della propria vita un’opera d’arte“.

Se vuoi lasciarti ispirare da altre storie vere di volontariato clicca su questo link.

Se vuoi partire per un volontariato ICYE scopri tutti i progetti disponibili visitando la pagina dedicata!

Share:

Facebook
Twitter
Pinterest
LinkedIn
Potrebbe interesarti

Articoli Correlati