L’odissea di un’italiana all’estero ai tempi del #coronavirus

Sei all’estero. Ti stai godendo le tue vacanze, ma le news riportano le tragiche notizie circa la rapida diffusione del coronavirus in Italia. L’Italia è in ginocchio. Il tuo paese sta affrontando un’emergenza senza precedenti. Che fare? Rientrare nel tuo paese accettando una quarantena obbligatoria o rimanere in terra straniera? Queste e altre interessanti considerazioni sulla condizione degli italiani all’estero al tempo del coronavirus in questa intervista a Martina, da poco rientrata in Italia dallo Sri Lanka. Il suo racconto tra voli cancellati, atti di solidarietà e nuove consapevolezze maturate ci mostra l’importanza di trarre sempre il meglio anche da quelle situazioni che ci mettono duramente alla prova.

Martina. 29 anni. Originaria di Modena e amante della mobilità internazionale. Dopo aver passato tre mesi in Indonesia per il suo servizio volontario europeo, Martina, a fine febbraio, decide di allungare il suo soggiorno in Oriente per due settimane di turismo in solitaria in Sri Lanka, la lacrima dell’India.

La prima settimana del viaggio scorre piuttosto tranquilla e Martina riesce a godere delle meraviglie dell’isola. Quando però gli avvenimenti legati alla sconvolgente vicenda coronavirus in Italia iniziano a farsi largo nel panorama internazionale, Martina dice che l’atmosfera cambia e la paura diventa palpabile. Nelle persone locali inizia ad affacciarsi il terrore delle nefaste conseguenze che potrebbero insorgere a seguito del contatto con persone di nazionalità italiana. Gli occidentali (facilmente identificabili dal colore chiaro della pelle) vengono chiamati “corona” per le strade e l’Italia è ormai additata solo come il paese, secondo dopo la Cina, in cui il virus sta mostrando tutti i suoi effetti pandemici. Insomma, niente più pizza e mandolino, solo coronavirus.

Ogni volta che Martina afferma di essere italiana in riposta alle innumerevoli domande che le vengono poste circa la sua provenienza, è costretta a dover spiegare prontamente che ormai da qualche mese non vive più in Italia; non può essere portatrice del virus dal momento che non risiede in Italia da più di tre mesi, ma questa motivazione a volte non era sufficientemente valida per rassicurare gli animi delle persone locali.

Tra autisti di autobus poco convinti che far salire Martina a bordo sia una buona idea e padroni di ostelli che le chiedono apertamente di non menzionare l’identità del suo paese di origine, diventa sempre più evidente che la situazione sta divenendo seria.

Dopo qualche giorno, lo Sri Lanka inizia ad avere i primi casi di contagio da coronavirus sul territorio e le circostanze si inaspriscono ulteriormente. Tutti hanno paura. I locali temono che la situazione possa precipitare in fretta, i turisti (ormai non solo gli italiani) si sentono smarriti in quella condizione di forte precarietà, combattuti tra il rientro in patria e il vivere marchiati come “untori” all’estero.

Martina dice che, durante il suo soggiorno, ha pensato di rimanere in Sri Lanka e di rimandare il suo ritorno in Italia a tempi migliori, ma l’atmosfera che ormai si respirava nel paese, gli atti discriminatori subiti e la chiusura di buona parte degli ostelli ai turisti per paura della diffusione del virus la convincono che partire sia la scelta migliore.

Dopo aver impacchettato le sue cose, Martina si dirige in aeroporto, convinta di poter prendere l’aereo per Bangkok che le avrebbe consentito di prendere la coincidenza Bangkok-Roma. Tutto sarebbe andato secondo i piani, se non fosse stato per il suo passaporto italiano; la Thailandia ha chiuso gli ingressi al popolo italiano e quindi a Martina non è consentito sbarcare, anche solo per lo scalo.

Dopo aver passato la notte in aeroporto alla ricerca di una soluzione, Martina è costretta a tornare sconsolata a Negombo, città vicina alla capitale Colombo; giunta in ostello, incontra un gruppo di persone europee alla ricerca di un modo per tornare a casa; erano perlopiù persone alle quali erano stati cancellati voli proprio come a Martina e questo clima di solidarietà riesce a far mettere da parte le frustrazioni che Martina stava accumulando; si mette, così, alla ricerca di un aereo per il giorno seguente.

Acquista un volo di una compagnia italiana diretto a Roma, ma anche questo tentativo risulta un buco nell’acqua. Con un secco “il volo non verrà operato” Martina deve fare i conti con la consapevolezza che  raggiungere l’Italia via aereo sia diventato un miraggio; sfumata anche questa occasione Martina viene presa dallo sconforto. Non era più possibile fidarsi delle compagnie aeree. Un biglietto comprato a cifre astronomiche un giorno prima del volo diventava carta straccia il giorno successivo. Non si capiva se gli aeroporti fossero aperti o chiusi e le ambasciate non offrivano soluzioni univoche e percorribili. Inoltre, i soldi iniziavano a scarseggiare.

Martina deve trovarsi una sistemazione, ma non è semplice. Molti ostelli non accettano più turisti. A sera inoltrata fortunatamente trova un ostello e l’oste le offre un posto letto, ma a patto che non riveli la propria nazionalità agli altri ospiti della struttura; la mattina successiva ritrova il gruppo-famiglia (così lo chiama lei) di “esuli” con cui aveva passato i giorni prima alla ricerca di soluzioni alternative ed inizia con loro una nuova sessione.

Dopo ore di ricerche, Martina trova un volo speciale per italiani per Roma (con scalo a Ginevra) per il giorno dopo e grazie all’aiuto economico dei suoi genitori acquista il biglietto. In aeroporto passa i controlli delle autorità (le quali si dimostrano ancora un po’ titubanti di fronte al suo passaporto italiano) e incredula spicca il volo; ciò che sembrava impossibile accadesse diventa reale: al terzo tentativo sta finalmente riuscendo a tornare in Italia.

Ora è in quarantena nella casa di sua madre a Riccione. Non può avvicinarsi ai suoi familiari per 14 giorni e riceve il cibo fuori dalla porta della sua stanza come fosse una detenuta…ma è a casa e questo è impagabile dopo tutto il suo peregrinare.

Dopo il racconto di questa disavventura, chiedo a Martina se non trovi paradossale avere dovuto sopportare tutte queste peripezie per rientrare in Italia ed essere ora segregata in quarantena, ma lei risponde dicendo: “Hai idea di quanto possa essere stressante vivere tutta questa situazione fuori casa? Sei all’estero, con un sistema sanitario che non conosci, con il coprifuoco, ti senti discriminato e quando decidi di tornare a casa ti aspetta un’odissea…Non voglio sminuire la situazione attuale, ma posso garantire che stare chiuso in casa non potrà mai essere più stressante di essere in una situazione precaria e incerta come quella che ho vissuto.”

Cosa ha insegnato tutta questa esperienza a Martina?

Questa situazione mi ha confermato quanto sia sbagliato discriminare. Nessuno dovrebbe mai provare le sensazioni che la discriminazione ti fa provare sulla pelle. Quando vieni discriminato capisci quanti danni sociali e psicologici la discriminazione può fare, ma io ero certa di questo anche prima di farne esperienza. Siamo però sicuri che coloro che discriminano smetterebbero di farlo se fossero discriminati? Io temo invece che l’essere discriminati darebbe loro motivo per continuare a discriminare, piuttosto che fornire loro ragioni per cui la discriminazione dovrebbe smettere di esistere!”

Si dice molto fiera di se stessa Martina.

Questa esperienza le ha dimostrato che lo spirito di adattamento e la pazienza sono doti indispensabili per non darsi per vinti fino alla fine, nonostante le situazioni possano essere impegnative e stressanti; avere poi persone con cui condividere ciò che ti succede ha senza dubbio un ruolo importante sui risvolti psicologici degli accadimenti in cui siamo coinvolti. 

Non sapere dove dormire, viaggi lunghi e sfiancanti, voli cancellati, situazioni avverse…sono solo alcune delle sfide che Martina ha dovuto affrontare nel suo viaggio di ritorno a casa.

Un viaggio che ricorda le gesta di Ulisse, eroe mitologico, celebre per il suo travagliato ritorno ad Itaca.

Ogni ritorno ha le sue insidie, ma di solito è proprio grazie a queste che torniamo a casa diversi, più forti…e Martina ha potuto riscoprire l’inestimabile valore della sua indipendenza personale.

“Nella vita tu devi essere sempre pronto a fare le cose da solo, senza pretendere o aspettarti che qualcuno ti darà una mano; il pensiero di essere solo non può essere un limite, ma uno sprone. In Sri Lanka ero sola e in molti dall’Italia mi commiseravano dicendomi che il fatto di essere sola rendeva più penosa la mia condizione. Ma per me non era affatto così. Certo, se puoi condividere le situazioni con qualcuno è un bell’aiuto, ma nella vita non puoi mai sapere a cosa andrai incontro e chi ci sarà al tuo fianco. Essere indipendenti significa per me sapere di poter contare su di me anche in situazione tutt’altro che rosee e di questo sono molto fiera. Nella vita ho imparato che se hai fiducia nei tuoi mezzi, sai anche che non ci sono situazioni che non sai affrontare; più sei consapevole, più sei resiliente e improntato a trovare soluzioni ai problemi. I problemi, se interpretati nell’ambito del nostro sviluppo personale, ci aiutano a crescere e sono preziose occasioni. Ringrazio queste occasioni per dimostrarmi che cosa so fare e so che ogni esperienza aggiunge un tassello alla mia consapevolezza.” dice Martina.

Ringrazio la mia amica Martina per l’interessante conversazione che abbiamo avuto e per le importanti considerazioni che sono emerse. La sua storia mostra quanto sia importante poter sempre contare su di noi, anche quando tutto rema contro e sembra cospirare contro di noi.

E voi, come reagite solitamente alle sfide che la vita vi presenta? 

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